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Il Farfaraccio maggiore (nome scientifico Petasites hybridus (L.) Gaertn. & al., 1801) è una pianta erbacea, rustica con numerosi capolini brunastri, appartenente alla famiglia delle Asteraceae.

Come leggere il tassobox
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Farfaraccio maggiore
Petasites hybridus
Classificazione APG IV
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
(clade) Angiosperme
(clade) Mesangiosperme
(clade) Eudicotiledoni
(clade) Eudicotiledoni centrali
(clade) Asteridi
(clade) Euasteridi II
Ordine Asterales
Famiglia Asteraceae
Sottofamiglia Asteroideae
Tribù Senecioneae
Sottotribù Tussilagininae
Classificazione Cronquist
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
Superdivisione Spermatophyta
Divisione Magnoliophyta
Classe Magnoliopsida
Sottoclasse Asteridae
Ordine Asterales
Famiglia Asteraceae
Sottofamiglia Asteroideae
Tribù Senecioneae
Sottotribù Tussilagininae
Genere Petasites
Specie P. hybridus
Nomenclatura binomiale
Petasites hybridus
(L.) Gaertn. & al., 1801
Nomi comuni

Cavolaccio
Farfaraccio ibrido
Tossilaggine maggiore


Sistematica


La famiglia di appartenenza del “Farfaraccio maggiore” (Asteraceae) è la più numerosa nel mondo vegetale, organizzata in 1530 generi per un totale di circa 22.750 specie[1]. Nelle classificazioni più vecchie la famiglia delle Asteraceae viene chiamata anche Compositae. Il genere di appartenenza (Petasites) comprende un paio di dozzine di specie, diffuse nelle zone umide delle regioni temperate dell'emisfero boreale delle quali quattro sono proprie della flora italiana.

All'interno della famiglia delle Asteraceae i “Farfaracci” fanno parte della sottofamiglia delle Tubiflore; sottofamiglia caratterizzata dall'avere capolini con fiori tubulosi al centro ed eventualmente fiori ligulati alla periferia, squame dell'involucro ben sviluppate e frutti con pappo biancastro e morbido. Al livello tassonomico inferiore fanno parte inoltre della tribù delle Senecioideae.

All'interno del genere invece le specie di questa scheda fanno parte della sezione delle EUPETASITES. sezione caratterizzata dall'avere infiorescenze con numerosi capolini spesso organizzati in un racemo allungato (a fine fioritura); con le corolle dei fiori radiali troncate (o lievemente ligulate); con foglie-brattee caulinari sempre lanceolate-acuminate indipendentemente dalla posizione che possono avere lungo il fusto (basale o apicale).


Variabilità


Nell'elenco che segue sono indicate alcune varietà e sottospecie (l'elenco può non essere completo e alcuni nominativi sono considerati da altri autori dei sinonimi della specie principale o anche di altre specie):


Ibridi


Nell'elenco che segue sono indicati alcuni ibridi interspecifici:


Sinonimi


La specie di questa scheda ha avuto nel tempo diverse nomenclature. L'elenco che segue indica alcuni tra i sinonimi più frequenti:


Specie simili


Le uniche quattro specie (relative al territorio italiano) del genere Petasites possono essere confuse tra di loro, specialmente a fioritura finita quando le piante presentano solamente le foglie radicali.

Inoltre la pianta di questa scheda può essere confusa con la specie di un altro genere Adenostyles alliariae (Gounan) Kerner – Cavolaccio alpino, in quanto entrambe le specie convivono negli stessi ambienti, questo però se si tratta di individui ridotti alle sole foglie. Si possono distingue comunque in quanto la lamina dell'Adenostyles è più triangolare e le nervature sono disposte in modo alterno (mentre quelle delle foglie del “farfaraccio” sono opposte e più simmetriche).


Etimologia


Sembra che sia stato Dioscoride Pedanio (Anazarbe in Cilicia, 40 circa – 90 circa), medico, botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma ai tempi dell'imperatore Nerone, a nominare per primo queste piante col nome di Petasites riferendosi alle grandi foglie simili al petàsos un cappello a grandi falde usato dai viaggiatori del suo tempo. Nome ripreso più volte in tempi moderni da vari botanici (Tournefort, Adanson o Gaertner) e comunque consolidato, come genere, da Linneo nel 1735 e collocato nelle “Corimbifere”[2][3].

L'epiteto specifico (hybridus = ibrido) probabilmente fa riferimento ad una possibile origine ibrida di questa specie. Mentre il nome comune (maggiore) sta ad indicare che questa specie è quella che raggiunge le dimensioni maggiori in altezza.

Il binomio scientifico attualmente accettato (Petasites hybridus) è stato proposto da Carl von Linné (Rashult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778), biologo e scrittore svedese, da Joseph Gaertner (Calw, 12 marzo 1732 – Tubinga, 14 luglio 1791), botanico tedesco, e da altri botanici (Dr Bernhard Meyer (24 agosto 1767 – 1º gennaio 1836) e Johannes Scherbius (1769-1813) ) in una pubblicazione del 1801.

In lingua tedesca questa pianta si chiama Gewhönliche Pestwurz; in francese si chiama Pétasite hybride; in inglese si chiama Butterbur.


Morfologia


Descrizione delle parti della pianta
Descrizione delle parti della pianta
Il portamentoLocalità: Valle di San Lucano, Taibon Agordino (BL), 843 m s.l.m. - 07/04/2007
Il portamento
Località: Valle di San Lucano, Taibon Agordino (BL), 843 m s.l.m. - 07/04/2007

Sono piante perenni che possono raggiungere anche i 120 cm di altezza durante la fruttificazione (dimensioni minime 15 cm) e presentano un forte dimorfismo tra le foglie cauline e quelle radicali. La forma biologica della specie è geofita rizomatosa (G rhiz); ossia sono piante perenni erbacee che portano le gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presentano organi aerei e le gemme si trovano in organi sotterranei chiamati rizomi, un fusto sotterraneo dal quale, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei (riproduzione vegetativa); altrimenti queste piante si possono riprodurre anche a mezzo seme.


Radici


Le radici sono secondarie da rizoma.


Fusto



Foglie



Infiorescenza


L'infiorescenza è formata da diversi capolini sub-sessili. La forma è una via dimezzo tra una infiorescenza corimbosa e una a pannocchia. Le infiorescenze sono comunque tutte terminali. La struttura dei capolini è quella tipica delle Asteraceae : un peduncolo sorregge un involucro campanulato (o sub-cilindrico) composto da diverse (da 12 a 15) squame lineari e non tutte uguali, disposte in modo embricato in un'unica serie (a volte anche in 2 - 3 serie) che fanno da protezione al ricettacolo nudo (senza pagliette), piano o leggermente convesso, ma alveolato, sul quale s'inseriscono due tipi di fiori: i fiori femminili, quelli esterni ligulati (assenti in questa specie), e i fiori ermafroditi quelli centrali tubulosi. Gli involucri hanno un colore bruno-rossiccio. Le squame sulla superficie hanno da 1 a 5 nervi, mentre il bordo è scarioso. I capolini sono i più grandi del genere.

Queste piante sono fondamentalmente dioiche in quanto le infiorescenze (rispetto alla composizione dei capolini) possono essere di due tipi[2][4]:


Fiore


I fiori sono zigomorfi, tetra-ciclici (formati cioè da 4 verticilli: calice – corolla – androceo – gineceo) e pentameri (calice e corolla formati da 5 elementi). Il colore dei fiori è bianco-rossastro tendente al violetto e sono quasi inodori (eventualmente emanano un odore sgradevole).

* K 0, C (5), A (5), G 2 (infero)[5]

Frutti


I frutti
I frutti

Il frutto è un achenio sub-cilindrico con superficie solcata (5 – 10 coste) e glabra. All'apice è presente un pappo biancastro formato da diversi peli lunghi (da 60 a 100), molli e denticolati. Lunghezza del pappo: 10 mm.


Distribuzione e habitat



Fitosociologia


Dal punto di vista fitosociologico la specie di questa scheda appartiene alla seguente comunità vegetale[6]:

Formazione : delle comunità perenni nitrofile
Classe : Artemisietea vulgaris
Ordine : Galio-Alliarietalia
Alleanza : Aegopodion podagrariae

Usi



Erboristica


Avvertenza
Avvertenza
Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.

Cucina


Viene sconsigliato l'uso edule in quanto questa pianta contiene alcuni alcaloidi epatotossici (alcaloidi pirrolizidinici)[7].


Giardinaggio


Raramente queste piante vengono usate nel giardinaggio in quanto sono abbastanza invasive e occupano vaste aree.


Galleria d'immagini



Note


  1. Eduard Strasburger, Trattato di Botanica. Vol.2, Roma, Antonio Delfino Editore, 2007, pag.858, ISBN 88-7287-344-4.
  2. Giacomo Nicolini, Enciclopedia Botanica Motta. Volume terzo, Milano, Federico Motta Editore, 1960, p. 271.
  3. Botanical names, su calflora.net. URL consultato il 14 settembre 2009.
  4. Sandro Pignatti, Flora d'Italia. Volume terzo, Bologna, Edagricole, 1982, p. 111, ISBN 88-506-2449-2.
  5. Tavole di Botanica sistematica, su dipbot.unict.it. URL consultato il 14 settembre 2009 (archiviato dall'url originale il 9 febbraio 2018).
  6. AA.VV., Flora Alpina.Vol.2, Bologna, Zanichelli, pag.524anno=2004.
  7. Plants For A Future, su pfaf.org. URL consultato il 16 settembre 2009.

Bibliografia



Altri progetti



Collegamenti esterni


Portale Biologia
Portale Botanica

На других языках


[en] Petasites hybridus

Petasites hybridus, the butterbur, is a herbaceous perennial flowering plant in the family Asteraceae, native to Europe and northern Asia.

[es] Petasites hybridus

Petasites hybridus es una planta herbácea perenne de la familia de las asteráceas, nativa de Europa y del norte de Asia.

[fr] Grand pétasite

Petasites hybridus
- [it] Petasites hybridus

[ru] Белокопытник гибридный

Белокопы́тник гибри́дный[2], или подбел гибридный[3][2] (лат. Petasítes hýbridus) — многолетнее травянистое растение, наиболее известный вид из рода Белокопытник.



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