Il Farfaraccio bianco (nome scientifico Petasites albus (L.) Gaertn., 1791) è una pianta erbacea, rustica con numerosi capolini bianchi, appartenente alla famiglia delle Asteraceae.
Progetto:Forme di vita - implementazione Classificazione APG IV. Il taxon oggetto di questa voce deve essere sottoposto a revisione tassonomica.
La famiglia di appartenenza del “Farfaraccio bianco” (Asteraceae) è la più numerosa nel mondo vegetale, organizzata in 1530 generi per un totale di circa 22.750 specie[1]. Nelle classificazioni più vecchie la famiglia delle Asteraceae viene chiamata anche Compositae.
Il genere di appartenenza (Petasites) comprende un paio di dozzine di specie, diffuse nelle zone umide delle regioni temperate dell'emisfero boreale delle quali quattro sono proprie della flora italiana.
All'interno della famiglia delle Asteraceae i “Farfaracci” fanno parte della sottofamiglia delle Tubiflore; sottofamiglia caratterizzata dall'avere capolini con fiori tubulosi al centro ed eventualmente fiori ligulati alla periferia, squame dell'involucro ben sviluppate e frutti con pappo biancastro e morbido. Al livello tassonomico inferiore fanno parte inoltre della tribù delle Senecioideae.
All'interno del genere invece le specie di questa scheda fanno parte della sezione delle EUPETASITES. sezione caratterizzata dall'avere infiorescenze con numerosi capolini spesso organizzati in un racemo allungato (a fine fioritura); con le corolle dei fiori radiali troncate (o lievemente ligulate); con foglie-brattee caulinari sempre lanceolate-acuminate indipendentemente dalla posizione che possono avere lungo il fusto (basale o apicale).
Variabilità
Qui di seguito è indicata una sottospecie di Petasites albus:
Petasites albus (L.) Gaertn. var. ramosus (Hoppe) P. Fourn. (1939)
Ibridi
Nell'elenco che segue sono indicati alcuni ibridi interspecifici:
Petasites × lorenzianus Brügger (1880) – Ibrido fra: P. albus e Petasite paradoxus
Petasites × rechingeri Hayek (1904) – Ibrido fra: P. albus e Petasites hybridus subsp. hybridus
Sinonimi
La specie di questa scheda ha avuto nel tempo diverse nomenclature. L'elenco che segue indica alcuni tra i sinonimi più frequenti:
Le uniche quattro specie (relative al territorio italiano) del genere Petasites possono essere confuse tra di loro, specialmente a fioritura finita quando le piante presentano solamente le foglie radicali.
Petasites albus (L) Gaertn. - Farfaraccio bianco (la specie di questa scheda): il fusto è verde mentre i fiori sono decisamente bianchi; le foglie sono reniformi.
Petasites hybridus (L.) Gaertn. - Farfaraccio maggiore: il fusto è rossiccio-bruno; i fiori sono roseo-chiaro: le foglie sono cuoriformi con una evidente insenatura all'inserimento del picciolo; è la specie più alta.
Petasites paradoxus (Retz.) Baumg. - Farfaraccio niveo: il fusto e i fiori sono come il “Farfaraccio maggiore”, ma l'infiorescenza è più lassa e le foglie hanno una forma più triangolare.
Petasites fragrans (Vill.) Presl. - Farfaraccio vaniglione: il fusto e i fiori sono come il “Farfaraccio maggiore”, ma l'infiorescenza è più contratta e le foglie sono rotondeggianti.
Inoltre la pianta di questa scheda può essere confusa con la specie di un altro genere Adenostyles alliariae (Gounan) Kerner – Cavolaccio alpino, in quanto entrambe le specie convivono negli stessi ambienti, questo però se si tratta di individui ridotti alle sole foglie. Si possono distingue comunque in quanto la lamina dell'Adenostyles è più triangolare e le nervature sono disposte in modo alterno (mentre quelle delle foglie del “farfaraccio” sono opposte e più simmetriche).
Etimologia
Sembra che sia stato Dioscoride Pedanio (Anazarbe in Cilicia, 40 circa – 90 circa), medico, botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma ai tempi dell'imperatore Nerone, a nominare per primo queste piante col nome di Petasites riferendosi alle grandi foglie simili al petàsos un cappello a grandi falde usato dai viaggiatori del suo tempo. Nome ripreso più volte in tempi moderni da vari botanici (Tournefort, Adanson o Gaertner) e comunque consolidato, come genere, da Linneo nel 1735 e collocato nelle “Corimbifere”[2][3].
L'epiteto specifico (albus) fa riferimento alla colorazione dei fiori.
Il binomio scientifico attualmente accettato (Petasites albus) è stato proposto da Carl von Linné (Rashult, 23 maggio 1707 –Uppsala, 10 gennaio 1778), biologo e scrittore svedese, e da Joseph Gaertner (Calw, 12 marzo 1732 – Tubinga, 14 luglio 1791), botanico tedesco, in una pubblicazione del 1791.
In lingua tedesca questa pianta si chiama Weiße Pestwurz; in francese si chiama Pétasite blanc; in inglese si chiama White Butterbur.
Morfologia
Descrizione delle parti della piantaIl portamento Località: Passo Duran, Agordo (BL), 1400 m s.l.m. - 16/05/2008
Sono piante perenni che possono raggiungere anche i 80cm di altezza durante la fruttificazione (dimensioni normali 10 – 40cm); in altre zone sono state censite piante alte fino a 120cm[4]. Presentano un forte dimorfismo tra le foglie cauline e quelle radicali. La forma biologica della specie è geofita rizomatosa (G rhiz); ossia sono piante perenni erbacee che portano le gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presentano organi aerei e le gemme si trovano in organi sotterranei chiamati rizomi, un fusto sotterraneo dal quale, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei (riproduzione vegetativa); altrimenti queste piante si possono riprodurre anche a mezzo seme.
Radici
Le radici sono secondarie da rizoma.
Fusto
Parte ipogea: la parte sotterranea consiste in un rizoma sottile, biancastro e strisciante. Diametro del rizoma 1cm.
Parte epigea: i fusti aerei sono grossi e tubolosi (cavi) di colore bianco-verdastro. Il portamento è eretto e non sono ramificati.
Foglie basali: le foglie radicali sono grandi, reniformi (o lievemente arrotondate – la larghezza è più o meno uguale alla lunghezza) e picciolate. Il bordo è doppiamente dentato. La pagina inferiore è grigio-tomentosa e ragnatelosa con evidenti nervature, quella superiore è verde e glabra. Il picciolo è bianco-tomentoso (ma poi un po' alla volta diventa glabro); inoltre è lievemente scanalato. Normalmente queste foglie si formano dopo la fioritura. Lunghezza del picciolo 10 – 20cm. Diametro delle foglie: 10 – 20cm (massimo 45cm).
Foglie cauline: quelle cauline sono sessili e abbraccianti il caule; la loro forma è lanceolata con un debole ripiegamento all'apice e rimpiccioliscono verso l'infiorescenza (in questa zona sono quasi squamiformi). Il loro colore è verde-giallastro.
Infiorescenza
L'infiorescenza è formata da diversi capolini peduncolati. La forma è una via dimezzo tra una infiorescenza corimbosa e una a pannocchia. Le infiorescenze sono comunque tutte terminali. La struttura dei capolini è quella tipica delle Asteraceae: un peduncolo sorregge un involucro campanulato (o sub-cilindrico) composto da diverse (da 12 a 15) squame lineari e non tutte uguali, disposte in modo embricato in un'unica serie (a volte anche in 2 - 3 serie) che fanno da protezione al ricettacolo nudo (senza pagliette), piano o leggermente convesso, ma alveolato, sul quale s'inseriscono due tipi di fiori: i fiori femminili, quelli esterni ligulati (assenti in questa specie), e i fiori ermafroditi quelli centrali tubulosi. Gli involucri hanno un colore verde-giallognolo. Le squame sulla superficie hanno da 1 a 5 nervi, mentre il bordo è scarioso (l'apice non è nero come in altre specie). Dimensione dei capolini (sia maschili che femminili): larghezza 6 – 12mm; lunghezza 25mm.
Queste piante sono fondamentalmente dioiche in quanto le infiorescenze (rispetto alla composizione dei capolini) possono essere di due tipi[2][5]:
Androdiname - piante maschili: alla periferia i fiori femminili sono pochi (da 1 a 20) in un'unica serie; mentre nella zona centrale del disco i fiori ermafroditi sono pochissimi in quanto quasi sempre lo stilo è sterile e quindi in maggioranza i fiori risultano maschili (da 10 a 80); in queste piante inoltre il racemo si presenta più ovale e i fiori appassiscono subito dopo la fioritura;
Ginodiname – piante femminili: ala periferia non sono presenti i fiori femminili, mentre nella zona centrale del disco la maggioranza è composta da fiori femminili (da 30 a 130) e pochissimi fiori ermafroditi (o maschili: da 1 a 12); in questo caso l'infiorescenza assomiglia di più ad una pannocchia allargata e l'infiorescenza è più persistente (questo per dare il tempo agli ovari di trasformarsi in frutti).
Fiore
I fiori Località: Pian di Coltura, Lentiai (BL), 800 m s.l.m.- 13/03/2007
I fiori sono zigomorfi, tetra-ciclici (formati cioè da 4 verticilli: calice – corolla – androceo – gineceo) e pentameri (calice e corolla formati da 5 elementi). Il colore dei fiori è bianco con sfumature giallastre.
Calice: i sepali sono ridotti ad una coroncina di squame.
Corolla: tutti i fiori (maschili - femminili) hanno delle corolle tubulari a 5 denti (non sono presenti i fiori ligulati); solo quelli femminili in posizione radiale hanno la corolla sempre a tubo ma troncata obliquamente (o lievemente ligulata). Dimensione dei fiori tubulosi: maschili 5 – 10mm; femminili 3 – 8mm.
Androceo: gli stami sono 5 con dei filamenti liberi; le antere invece sono saldate fra di loro e formano un manicotto che circonda lo stilo. Le antere alla base sono ottuse.
Gineceo: lo stilo è unico, articolato con uno stimma filiforme, pubescente e sporgente dal tubo corollino; l'ovario è infero e uniloculare formato da due carpelli concrescenti e contenente un solo ovulo.
Fioritura: da marzo a maggio.
Impollinazione: tramite insetti (Impollinazione entomofila) e vento (Impollinazione anemofila).
Frutti
I frutti con pappo Località: Pianezze, Trichiana (BL), 859 m s.l.m. - 10/05/2008
Il frutto è un achenio sub-cilindrico con superficie solcata (5– 10 coste) e glabra. All'apice è presente un pappo biancastro formato da diversi peli lunghi (da 60 a 100), molli e denticolati. Dimensione degli acheni 2 –3mm,
Distribuzione e habitat
Geoelemento: il tipo corologico (area di origine) è Orofita Centro-Europeo ma anche Ovest Asiatico.
Habitat: l'habitat tipico per queste piante sono le vellecole umide e fresche, le radure nella zona delle faggete (o latifoglie in genere) o in prossimità di rigagnoli e fossati; ma anche le schiarite boschive, i ghiaioni e i megaforbieti montani popolati da felci. Il substrato preferito è sia calcareo che siliceo con pH neutro, alti valori nutrizionali del terreno che deve essere un po' umido (pianta nitrofila).
Diffusione altitudinale: sui rilievi queste piante si possono trovare da 500 fino a 2000 ms.l.m.; frequentano quindi in prevalenza il seguente piano vegetazionale: montano.
Fitosociologia
Dal punto di vista fitosociologico la specie di questa scheda appartiene alla seguente comunità vegetale[7]:
Formazione: delle comunità delle macro- e megaforbie terrestri
Classe: Mulgedio-Aconitetea
Ordine: Calamagrostietalia villosae
Alleanza: Arunco-Petasition
Usi
Avvertenza
Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.
Farmacia
Sostanze presenti: oltre ai componenti tipici per queste piante (olii essenziali, glucoside, mucillagini, tannini, e sali minerali vari), il "Farfaraccio bianco" contiene alcaloidi pirrolizidinici che possono essere tossici per il fegato. Queste sostanze si trovano più facilmente nei rizomi delle piante.
Proprietà curative: nella medicina popolare queste piante vengono usate per le loro proprietà vulnerarie (guarisce le ferite), sedative (calma stati nervosi o dolorosi in eccesso), bechiche (azione calmante della tosse) ed emmenagoghe (regola il flusso mestruale). Le foglie hanno la proprietà di calmare la tosse, mentre invece appena raccolte vengono applicate sulle ulcere per ottenere una rapida cicatrizzazione[8].
Parti usate: rizomi e foglie.
Cucina
In certe zone i piccioli delle foglie, se carnosi e teneri, sono cotti e utilizzati similmente ai carciofi[8].
Galleria d'immagini
Note
Eduard Strasburger, Trattato di Botanica. Vol.2, Roma, Antonio Delfino Editore, 2007, pag.858, ISBN88-7287-344-4.
Vicki A. Funk, Alfonso Susanna, Tod F. Stuessy and Harold Robinson, Classification of Compositae (PDF) (archiviato dall'url originale il 24 ottobre 2017).
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