La stella alpina (Leontopodium alpinum Cass., 1822) è una pianta erbacea perenne dall'aspetto cespitoso delle alte quote alpine appartenente alla famiglia delle Asteraceae.
Progetto:Forme di vita - implementazione Classificazione APG IV. Il taxon oggetto di questa voce deve essere sottoposto a revisione tassonomica.
Bianco di roccia
(DE) Edelweiß
(FR) Étoile des Alpes
(EN) Edelweiss
Etimologia
Il termine generico (Leontopodium) significa letteralmente “piede leonino”, ed è un adattamento latino del greco “leontopódion” (λεοντοπόδιον) da “léon” (= leone) e “pódion” (= piede), ed è stato introdotto nella nomenclatura floristica dal botanico Robert Brown (1817) facendo riferimento (non troppo felice) alla forma dei capolini fiorali simili ad una zampa di leone[1]. Il termine specifico (alpinum) è latino e si riferisce alle zone di crescita della pianta.
Il binomio scientifico attualmente accettato (Leontopodium alpinum) è stato proposto dal botanico e naturalista francese Alexandre Henri Gabriel de Cassini (1781 – 1832) in una pubblicazione (”Dictionnaire des Sciences Naturelles”, Strasburgo - Edizione 2) del 1822[2]. Precedentemente questa pianta era stata denominata da Carolus Linnaeus con il nome di Gnaphalium leontopodium ed erroneamente posta nel genere Gnaphalium.
Descrizione
Il portamento
Si tratta di una pianta di bassa statura (8 – 15cm, massimo 30cm). La forma biologica è emicriptofita scaposa (H scap), ossia sono piante erbacee perenni, con gemme svernanti al livello del suolo e protette generalmente dalla neve, dotate di un asse fiorale eretto e spesso con poche foglie. Tutta la pianta è lanosa (o tomentosa-fioccosa) per limitare l'eccessiva traspirazione in quanto è originaria di habitat aridi (vedi il paragrafo “Corologia”).
Radici
Le radici sono secondarie da rizoma.
Fusto
Parte ipogea: la parte sotterranea consiste in un rizoma obliquo, breve e di colore bruno. La superficie è divisa da branchie squamose.
Parte epigea: la parte aerea del fusto è ascendente, eretta e semplice con poche foglie. Alla base il fusto può essere legnoso. Tutta la sua superficie è ricoperta da una peluria bianca.
Foglie
Le foglie basali
Foglie radicali: le foglie basali formano una rosetta e hanno una forma spatolata (oppure oblanceolata) la cui massima larghezza viene raggiunta a 1/5 dall'apice; verso il fusto si restringono in un breve picciolo. La superficie inferiore e bianco-tomentosa. Da questa rosetta basale possono diramarsi uno o più fusti fioriferi. Dimensione delle foglie basali: larghezza 4 – 6mm; lunghezza 25 – 40mm.
Foglie caulinari: le foglie del fusto sono disposte in modo alterno e sono anche queste intere a forma lanceolata o lineare (più strette rispetto alle basali), ma sessili. Dimensione delle foglie caulinari: larghezza 2 – 3mm; lunghezza 25 – 40mm.
Infiorescenza
Infiorescenza
Le infiorescenze sono composte da alcuni capolini (3 – 7) raccolti in glomeruli corimbosi terminali circondati da alcune brattee (o foglie fiorali). Il capolino centrale è quasi sessile e più grande, mentre quelli periferici sono brevemente peduncolati. La struttura dei capolini è quella tipica delle Asteraceae: esternamente si ha un involucro emisferico o ovoide composto da diverse squame che fanno da protezione al ricettacolo sul quale s'inseriscono due tipi di fiori: i fiori esterni ligulati (assenti in questo genere), e i fiori del disco centrale tubulosi. Questi ultimi si dividono in due tipi: quelli più periferici sono filiformi e femminili, colorati di giallo verdognolo; quelli più interni (centrali) sono maschili (in realtà sono ermafroditi, ma maschili per aborto degli organi del gineceo) e più tubulosi. L'involucro dell'infiorescenza si compone di 9 – 15 foglie bratteali lanceolate, patenti, disposte a stella; la superficie è bianco-lanosa e sono molto più lunghe del diametro del glomerulo di capolini: in effetti è la parte più caratteristica della pianta (assolve alla funzione vessilifera rispetto agli insetti impollinatori). Le squame interne dei capolini hanno una forma lanceolato-acuta con apice scarioso ma glabro; la colorazione è ferruginoso-scura. Diametro del glomerulo: 3 – 6cm. Dimensione dell'involucro dei capolini: larghezza 4mm; lunghezza 5mm.
Fiore
I fiori sono attinomorfi. Sono tetra-ciclici (formati cioè da 4 verticilli: calice – corolla – androceo – gineceo) e pentameri (calice e corolla formati da 5 elementi)[3].
Formula fiorale: per questa pianta viene indicata la seguente formula fiorale:
Calice: i sepali del calice sono ridotti ad una coroncina di squame quasi inesistenti.
Corolla: i petali della corolla sono 5; i fiori sono saldati a tubo e terminano in cinque denti. Quelli esterni (femminili) sono lunghi 3mm.
Androceo: gli stami (5) hanno delle antere acute e caudate alla base (le due code sono lesiniformi); il tutto è saldato insieme e forma una specie di manicotto avvolgente lo stilo[5]. I granuli pollinici possiedono uno strato basale spesso e regolarmente perforato[6].
Gineceo: i carpelli sono due e formano un ovario bicarpellare infero uniloculare. Lo stilo è unico con linee stigmatiche marginali[6], appiattito (senza appendici) e terminante in uno stigma bifido.
Fioritura: da luglio a settembre.
Frutti
I frutti
I frutti sono degli acheni granulosi con pappo. Il pappo di colore paglierino si differenzia in setole capillari nei fiori femminili e setole clavate in quelli maschili. Dimensione dell'achenio: 1,3mm. Lunghezza del pappo: 4 – 6mm.
Biologia
Impollinazione: l'impollinazione avviene tramite insetti (impollinazione entomogama).
Riproduzione: la fecondazione avviene fondamentalmente tramite l'impollinazione dei fiori (vedi sopra).
Dispersione: i semi cadendo a terra (dopo essere stati trasportati per alcuni metri dal vento per merito del pappo – disseminazione anemocora) sono successivamente dispersi soprattutto da insetti tipo formiche (disseminazione mirmecoria).
Distribuzione e habitat
Distribuzione della pianta (Distribuzione regionale[7] – Distribuzione alpina[8])
Geoelemento: il tipo corologico (area di origine) è Orofita – Eurasiatico. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare l'origine di questa pianta sono le zone montuose calde e aride degli altopiani desertici dell'Asia Centrale (altre specie del genere Leontopodium si trovano in queste zone). I rilievi montuosi formatisi nel Miocene hanno contribuito in modo fondamentale alla formazione di varie specie alpine oloartiche tra cui anche la pianta di questa voce[9]. In seguito la “Stella alpina” si è diffusa in Europa in tempi relativamente recenti durante le ultime glaciazioni[10]. Il collegamento con le specie asiatiche è dimostrato ampiamente da diversi studi fatti sul genere Leontopodium dai quali risultano i stretti rapporti filogenetici di parentela con le specie asiatiche pur considerando la notevole disgiunzione geografica tra i due areali[11].
Distribuzione: in Italia questa specie è presente solamente nelle Alpi ed è considerata rara a causa soprattutto della sua raccolta indiscriminata, ma alcuni esemplari sono presenti anche sul Lago di Pilato, nelle Marche, Monti Sibillini. Oltreconfine è presente nelle Alpi francesi, svizzere, austriache e slovene; sugli altri rilievi montuosi europei si trova nel Massiccio del Giura, Pirenei, Alpi Dinariche, Monti Balcani e Carpazi[8]. Fuori dall'Europa questa specie è distribuita nell'Himalaya e in Mongolia.
Habitat: l'habitat tipico di questa pianta sono i pascoli alpini (praterie rase alpine e subalpine); ma anche luoghi rocciosi e pendii franosi (ghiaioni alpini). Il substrato preferito è calcareo con pH basico, bassi valori nutrizionali del terreno che deve essere secco.
Distribuzione altitudinale: sui rilievi queste piante si possono trovare da 1500 fino a 2600 ms.l.m. (massimo 3000 ms.l.m.); frequentano quindi i seguenti piani vegetazionali: subalpino e alpino.
Fitosociologia
Dal punto di vista fitosociologico la specie di questa voce appartiene alla seguente comunità vegetale[8]:
Formazione: delle comunità delle praterie rase dei piani subalpino e alpino con dominanza di emicriptofite
Classe: Elyno-Seslerietea variae
Ordine: Seslerietalia variae
Alleanza: Seslerion variae
Sistematica
La famiglia di appartenenza del Leontopodium alpinum (Asteraceae o Compositae, nomen conservandum) è la più numerosa del mondo vegetale, comprende oltre 23000 specie distribuite su 1535 generi[12] (22750 specie e 1530 generi secondo altre fonti[13]). Il genere di questa specie non è molto numeroso: una trentina di specie circa originarie soprattutto dell'Asia Centrale.
Il numero cromosomico di L. alpinum è: 2n = 52[14][15].
Variabilità
Alle quote più alte (al limite inferiore dei nevai perenni) è presente una varietà a statura più bassa (2 – 5cm), ricoperta da una peluria lanosa bianco-argentina; le foglie sono tomentose anche sulla parte superiore della superficie. A quote più basse (fuori dal loro habitat alpino) queste piante perdono la caratteristica tomentosità, ma anche si modificano nella stessa struttura esteriore[1].
Nella checklist dei Royal Botanic Garden Edinburgh è segnalata la seguente sottospecie[16] (nella stessa lista non è indicata invece la specie appenninica – vedi più avanti):
subsp. nivale (Ten.) Tutin (1973)
Sinonimi
Questa entità ha avuto nel tempo diverse nomenclature. L'elenco che segue indica alcuni tra i sinonimi più frequenti:
Antennaria leontopodium (L.) Gaertn.
Gnaphalium leontopodium L.
Gnaphalium nivale Ten. (sinonimo della subsp. nivale)
Filago leontopodium L.
Leontopodium umbellatum Bluff & Fingerh. (1825)
Specie simili
In Italia è presenta solamente un'altra specie del genere Leontopodium: Leontopodium nivale (Ten.) Huet - Stella alpina dell'Appennino: si distingue per le dimensioni minori (5cm), per una pelosità maggiore e per le foglie basali maggiormente spatolate. È distribuita negli Appennini centrali, in particolare sulle cime abruzzesi (gruppo del Gran Sasso e della Majella).
Usi
Avvertenza
Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.
Farmacia
In passato, secondo la medicina popolare si riteneva che questa pianta avesse delle proprietà astringenti (limita la secrezione dei liquidi) e antitosse[17].
Giardinaggio
L'unico impiego che attualmente ha questa pianta è nel giardinaggio roccioso e alpino. In effetti non si incontrano grandi difficoltà a coltivarla, basta piantarla sempre a settentrione su substrati leggeri (calcarei), ghiaiosi e ben drenati.
Altre notizie
In Svizzera e in genere nelle Alpi di lingua tedesca questo fiore viene chiamato “Edelweiss”. Secondo una leggenda il Leontopodium alpinum, una volta, era una fanciulla, bella ma difficile da amare, per cui alla sua morte, ancora zitella, venne trasformata in una “Stella alpina” fra le nevi, le rocce e i ghiacciai ed altri posti di difficile accesso. Soltanto un ardimentoso e puro d'animo potrà cogliere questo fiore. “Edelweiss” significa appunto “nobile, bianco e puro”[1].
Una delle saghe dell'Alto Adige narra che la Regina delle Nevi, la Bercta, siede sulle cime delle Alpi circondata dai folletti armati di lance di cristallo. All'alpinista che le si avvicina, sorride e lo invita a salire sempre più su verso di lei, ma l'alpinista non si accorge della gelosia dei folletti che lo spingono nel crepaccio. La Regina piangendo fa scendere le sue lacrime sulle rocce formando le stelle alpine.[18]
In molte zone è vietata la raccolta di questo fiore.
La stella alpina è raffigurata sulle monete da 2 centesimi di euro dell'Austria.
1996 Alfio Musmarra, Dizionario di botanica, Bologna, Edagricole.
Eduard Strasburger, Trattato di Botanica. Volume 2, Roma, Antonio Delfino Editore, 2007, ISBN88-7287-344-4.
Judd-Campbell-Kellogg-Stevens-Donoghue, Botanica Sistematica - Un approccio filogenetico, Padova, Piccin Nuova Libraria, 2007, ISBN978-88-299-1824-9.
F.Conti, G. Abbate, A.Alessandrini, C.Blasi, An annotated checklist of the Italian Vascular Flora, Roma, Palombi Editore, 2005, p.120, ISBN88-7621-458-5.
Maria Teresa della Beffa, Fiori di montagna, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 2001.
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