Dendrocnide moroides (Wedd.) Chew, nota comunemente come la pianta dei suicidi, gympie o gympie gympie, è una pianta della famiglia delle Urticaceae.[1]
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Stato di conservazione | |
![]() Specie non valutata | |
Classificazione APG IV | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Plantae |
(clade) | Angiosperme |
(clade) | Mesangiosperme |
(clade) | Eudicotiledoni |
(clade) | Eudicotiledoni centrali |
(clade) | Superrosidi |
(clade) | Rosidi |
(clade) | Eurosidi |
(clade) | Eurosidi I |
Ordine | Rosales |
Famiglia | Urticaceae |
Genere | Dendrocnide |
Specie | D. moroides |
Classificazione Cronquist | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Plantae |
Divisione | Magnoliophyta |
Classe | Magnoliopsida |
Sottoclasse | Hamamelididae |
Ordine | Urticales |
Famiglia | Urticaceae |
Genere | Dendrocnide |
Specie | D. moroides |
Nomenclatura binomiale | |
Dendrocnide moroides (Wedd.) Chew | |
Sinonimi | |
Dendrocnide moroidea | |
È conosciuta per i peli urticanti che ricoprono l'intera pianta e che rilasciano una potente neurotossina quando vengono toccati. È la più tossica delle specie australiane di Dendrocnide.[2] Il frutto, dopo aver rimosso i peli urticanti che lo ricoprono, risulta commestibile per l'uomo.[3]
D. moroides di solito cresce come una pianta con un singolo stelo che raggiunge 1–3 m in altezza. Ha grandi foglie cuoriformi lunghe circa 12–22 cm e larghe 11–18 cm, con margini finemente dentati.
La specie è unica nel genere Dendrocnide nell'avere infiorescenze monoiche in cui i pochi fiori maschili sono circondati da fiori femminili.[4] I fiori sono piccoli e, una volta impollinati, il gambo si gonfia per formare il frutto. I frutti sono succosi, simili al gelso e vanno dal rosa brillante al viola. Ogni frutto contiene un singolo seme all'esterno del frutto.[5]
La specie è uno dei primi colonizzatori nelle radure della foresta pluviale; i semi germinano in piena luce solare.[6]
La specie è diffusa nell'est dell'Australia, nelle Piccole Isole della Sonda e a Vanuatu[1]. Sebbene relativamente comune nel Queensland, la specie è rara nella sua fascia più meridionale ed è elencata come specie in via di estinzione nel Nuovo Galles del Sud.[7]
Il contatto con le foglie o lo stelo fa penetrare i peli cavi con punta di silice nella pelle. I peli provocano una sensazione di bruciore estremamente dolorosa che può durare da alcune ore a 1-2 giorni; tale sensazione può ripresentarsi, seppur in misura minore per diversi mesi o più ogni volta che l'area viene toccata, esposta all'acqua o soggetta a variazioni di temperatura. I peli vengono anche dispersi nell'aria dalla pianta e, se inalati, possono causare problemi respiratori.[8] Ernie Rider, che fu colpito in faccia e busto con il fogliame nel 1963, disse:
Per due o tre giorni il dolore era quasi insopportabile; Non riuscivo a lavorare o dormire, si trasformò poi in un brutto dolore per un'altra quindicina di giorni. La puntura persistette per due anni e si ripeteva ogni volta che facevo una doccia fredda. Non c'è niente di paragonabile; è dieci volte peggio di ogni altra cosa.[9]
La puntura non impedisce a diverse piccole specie di marsupiali, tra cui il pademelon dalle zampe rosse, gli insetti e gli uccelli di mangiare le foglie.[5]
La moroidina, un octapeptide biciclico contenente un insolito legame C-N tra triptofano e istidina, è stata inizialmente isolata dalle foglie e dagli steli di questa pianta, e successivamente si è dimostrato il principale composto responsabile della lunga durata delle punture.[10]
Ci sono state prove aneddotiche di alcune piante con i peli, ma non più urticanti suggerendo un cambiamento chimico della tossina.[11]
Il trattamento raccomandato per la pelle esposta ai peli è applicare acido cloridrico diluito (1:10)[12] e rimuovere i peli con una striscia strappacera di epilazione.[13] Se non disponibile, è possibile utilizzare una striscia di nastro adesivo e una pinzetta. Bisogna fare attenzione a rimuovere tutti i peli intatti, senza romperli, poiché le punte dei peli, se rimangono conficcate, aumenteranno solo il livello di dolore.
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