Pinguicula vulgaris (L. 1753) è una pianta carnivora perenne appartenente alla famiglia Lentibulariaceae. Il nome Pinguicula deriva dal latino pinguis che significa grasso con allusione alla debole carnosità delle foglie.
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Classificazione APG IV | |
Dominio | Eukaryota |
Ordine | Lamiales |
Famiglia | Lentibulariaceae |
Classificazione Cronquist | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Plantae |
Divisione | Magnoliophyta |
Classe | Magnoliopsida |
Ordine | Scrophulariales |
Famiglia | Lentibulariaceae |
Genere | Pinguicula |
Specie | P. vulgaris |
Nomenclatura binomiale | |
Pinguicula vulgaris L., 1753 | |
Nomi comuni | |
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Raggiunge l'altezza di 3-16 cm. Foglie da ovate a oblunghe.
Il fiore è di colore porpora o bianco, è grande 15 mm o più ed ha la forma di un imbuto.
Le radici sono corte, poche e non ramificate. Sono presenti dalle cinque o sei radice per pianta ed hanno una lunghezza media di 30 mm, le piante più giovani ne hanno un numero maggiore (dalle otto elle diciotto), sono poco più corte e pochissimo ramificate.
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È diffusa in quasi tutti i paesi dell'Europa, in Russia, in USA e in Canada. Essendo nativa di regioni con inverni rigidi, va in ibernazione producendo degli ibernacoli, delle gemme resistenti al freddo. In Italia era presente, fino a tempi relativamente recenti, in alcune aree pedemontane e di alta pianura della Val Padana, del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia, ma è scomparsa quasi ovunque in seguito alla progressiva distruzione dell'habitat (bonifiche, captazione di sorgenti e falde), risulta ancora abbastanza diffusa, ad altitudini montane e subalpine, lungo le Alpi (dal Friuli alla Liguria) e assai più sporadica nell'Appennino settentrionale e centrale. È specie legata ad ambienti umidi, come torbiere neutro-alcaline, prati permanentemente umidi e sorgenti. Cresce inoltre preferibilmente su un substrato acido.
Le foglie di Pinguicula sono dotate di ghiandole secernenti una sostanza vischiosa [1]. Quando un insetto vi si posa, questa lo trattiene, ed enzimi lo digeriscono. Come altre piante che si nutrono di insetti, P. vulgaris estrae sali minerali, specialmente nitrati e fosfati, dalle prede.
In passato, era talvolta usata per cagliare il latte, e si diceva che il burro ottenuto da una mucca che avesse mangiato questa pianta fosse buono per i neonati. Si pensava anche che questa pianta proteggesse la gente da fate e streghe.
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