La disa o saracchio (nome scientifico Ampelodesmos mauritanicus (Poir.) T.Durand & Schinz, 1894) è una specie di pianta spermatofita monocotiledone appartenente alla famiglia Poaceae (sottofamiglia Pooideae).[1][2]
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Progetto:Forme di vita - implementazione Classificazione APG IV.
Il taxon oggetto di questa voce deve essere sottoposto a revisione tassonomica. |
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Classificazione APG IV | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Plantae |
(clade) | Angiosperme |
(clade) | Mesangiosperme |
(clade) | Monocotiledoni |
(clade) | Commelinidae |
Ordine | Poales |
Famiglia | Poaceae |
Sottofamiglia | Pooideae |
Tribù | Ampelodesmeae |
Genere | Ampelodesmos |
Classificazione Cronquist | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Plantae |
Sottoregno | Tracheobionta |
Superdivisione | Spermatophyta |
Divisione | Magnoliophyta |
Classe | Liliopsida |
Sottoclasse | Commelinidae |
Ordine | Cyperales |
Famiglia | Poaceae |
Sottofamiglia | Pooideae |
Tribù | Ampelodesmeae |
Genere | Ampelodesmos |
Specie | A. mauritanicus |
Nomenclatura binomiale | |
Ampelodesmos mauritanicus (Poir.) T.Durand & Schinz, 1894 | |
Nomi comuni | |
Tagliamani | |
Il nome generico (Ampelodesmos) deriva da due parole greche: αμπελος=vite e δεσμος=legame, al fatto che nell'antichità veniva usata per legare le viti; le foglie, lunghe e tenaci, vengono tuttora utilizzate da artigiani per impagliare le sedie e per produrre cordami.[3][4][5] L'epiteto specifico (mauritanicus) indica una probabile origine della pianta dalla Mauritania, o più in generale dal Nord Africa (o in particolare dal Magreb).[6] Il nome comune (tagliamani) deriva dai margini ruvido-taglienti delle foglie di questa pianta.
Il nome scientifico della specie (Ampelodesmos mauritanicus) è stato definito inizialmente dal botanico ed esploratore francese Jean Louis Marie Poiret (1755 – 1834) e perfezionato in seguito dal botanico belga Théophile Alexis Durand (1855 – 1912) e dal botanico ed esploratore svizzero Hans Schinz (1858 – 1941) nella pubblicazione "Conspectus Floræ Africæ; ou, Énumération des plantes d'Afrique. Bruxelles" (Consp. Fl. Afr. 5: 874. 1894) del 1894.[7] Il genere (Ampelodesmos) è stato definito dal biologo, botanico e naturalista tedesco Johann Heinrich Friedrich Link (1767 – 1851) nella pubblicazione "Hortus Regius Botanicus Berolinensis descriptus" (Hort. Berol. 1: 136. 1827) del 1827.[8] La tribù (Ampelodesmeae) è stata definita dal professore di botanica all'università di Leicester, autore dei trattati "Flora of the British Isles" e "Flora Europaea", Thomas Gaskell Tutin (1908 – 1987) nella pubblicazione "Botanical Journal of the Linnean Society" (Bot. J. Linn. Soc. 76(4): 369. 1978) del 1978.[9]
L'altezza di queste piante arriva a 1 - 2 metri (massimo 5 metri). La forma biologica è emicriptofita cespitosa (H caesp), sono piante erbacee, perenni, con gemme svernanti al livello del suolo e protette dalla lettiera o dalla neve e presentano ciuffi fitti di foglie che si dipartono dal suolo. Queste piante producono dei cespugli densissimi larghi un metro. In queste piante non sono presenti i micropeli.[5][10][11][12][13][14][15]
Le radici sono fibrose, secondarie da rizomi striscianti ma corti.
La parte aerea del fusto (culmi) è robusta, eretta, inclinata all'apice. I culmi sono solidi a sezione più o meno rotonda.
Le foglie lungo il culmo sono disposte in modo alterno, sono distiche e si originano dai vari nodi. Sono composte da una guaina, una ligula e una lamina. Le venature sono parallelinervie. Non sono presenti i pseudopiccioli e, nell'epidermide delle foglia, le papille.
Infiorescenza principale (sinfiorescenza o semplicemente spiga): le infiorescenze, ascellari e terminali, in genere sono riccamente ramificata e lievemente unilaterali e sono formate da alcune spighette solitarie ed hanno la forma di una ampia pannocchia piramidale. La fillotassi dell'inflorescenza inizialmente è a due livelli, anche se le successive ramificazioni la fa apparire a spirale. Il colore dell'infiorescenza è variegata di porporino. Dimensione della pannocchia: larghezza 1 dm; lunghezza 3 - 4 dm.
Infiorescenza secondaria (o spighetta): le spighette, subsessili o brevemente pedicellate, compresse lateralmente, sottese da due brattee distiche e strettamente sovrapposte chiamate glume (inferiore e superiore), sono formate da 2 - 6 fiori. Possono essere presenti dei fiori sterili; in questo caso sono in posizione distale rispetto a quelli fertili. Alla base di ogni fiore sono presenti due brattee: la palea e il lemma. La rachilla è pubescente e si estende oltre i fiori. La disarticolazione avviene con la rottura della rachilla tra i fiori o sopra i glumi persistenti. Le spighette non sono pungenti. Lunghezza delle spighette: 12 – 17 mm.
I fiori fertili sono attinomorfi formati da 3 verticilli: perianzio ridotto, androceo e gineceo.
I frutti sono del tipo cariosside, ossia sono dei piccoli chicchi indeiscenti, con forme ovoidali, nei quali il pericarpo è formato da una sottile parete che circonda il singolo seme. In particolare il pericarpo è fuso al seme ed è aderente. L'endocarpo non è indurito e l'ilo è lungo e lineare. L'embrione è piccolo e provvisto di epiblasto ha un solo cotiledone altamente modificato (scutello senza fessura) in posizione laterale. I margini embrionali della foglia non si sovrappongono.
Per l'areale italiano la specie di questa voce appartiene alla seguente comunità vegetale:[18]
Descrizione. L'alleanza Avenulo cincinnatae-Ampelodesmion mauritanici è relativa alle comunità che si sviluppano in Sicilia (e in Tunisia) sui pendii dei rilievi, sia costieri che interni. Questa associazione è presente in aree caratterizzate da precipitazioni medie annue comprese tra 600 mm e 1000 mm, e temperature medie annue comprese tra 11 e 18 °C. In generale questa cenosi è distribuita nel Mediterraneo centrale su suoli profondi, solitamente calcarei, marnosi o sabbiosi. Le condizioni idonee alla diffusione di queste comunità si realizzano anche attraverso processi di degradazione ad opera antropica, ad esempio in seguito ad incendi o tagli ripetuti.[19]
Specie presenti nell'associazione: Anthyllis vulneraria, Micromeria graeca, Dactylis hispanica, Galium lucidum, Elaoselinum asclepium, Psoralea bituminosa, Atractylis gummifera, Avenula cincinnata, Pimpinella anisoides, Scorzonera columnae, Festuca coerulescens, Gypsophila arrostii, Dianthus graminifolius, Dianthus siculus, Eryngium bocconei, Helminthotheca aculeata, Picris aculeata, Helictotrichon convolutum.[19]
Altre alleanze per questa specie sono:[18]
La famiglia di appartenenza di questa specie (Poaceae) comprende circa 650 generi e 9.700 specie (secondo altri Autori 670 generi e 9.500[13]). Con una distribuzione cosmopolita è una delle famiglie più numerose e più importanti del gruppo delle monocotiledoni e di grande interesse economico: tre quarti delle terre coltivate del mondo produce cereali (più del 50% delle calorie umane proviene dalle graminacee). La famiglia è suddivisa in 11 sottofamiglie, la specie di questa voce è descritta all'interno della sottofamiglia Pooideae (supertribù Stipodae L. Liu, 1980).[10][11]
Il basionimo per questa specie è: Arundo mauritanica Poir..[17]
Il genere normalmente viene considerato monotipo. Alcune checklist includono nel genere anche la specie Ampelodesmos ampelodesmon (Cirillo) Kerguélen, 1976.[20]
La tribù Ampelodesmeae, insieme alle tribù Stipeae Dumort., Diarrheneae C.S. Campb. e Brachypodieae Harz, è descritta all'interno della supertribù Stipodae L. Liu, 1980. Insieme alla tribù Stipeae formano un "gruppo fratello". La specie A. mauritanicus comunque si distingue dal resto delle Stipeae per la spighette multiflore; tuttavia i dati molecolari la collegano inequivocabilmente ai generi (descritti all'interno della tribù Stipeae) Psammochloa e Neotrinia. La supertribù Stipodae è il quarto nodo della sottofamiglia Pooideae ad essersi evoluto (gli altri tre sono la tribù Brachyelytreae, e le supertribù Nardodae e Melicodae).[1]
La tribù Ampelodesmeae appartiene al subclade Eurasiatico delle Stipeae individuato dai seguenti caratteri:[10]
Le seguenti sinapomorfie sono indicate per questa specie:[10]
In alcuni studi filogenetici la specie di questa voce è descritta all'interno del "Clade I" della tribù Stipeae.[10] Tradizionalmente Ampelodesmos mauritanicus era collocata nella tribù Arundineae (Arundinarieae) nella ex. famiglia Gramineae (Poaceae).[5]
Il numero cromosomico di A. mauritanicus è: 2n = 48.[10]
Per questa specie è riconosciuta valida la seguente varietà:[2]
Questa entità ha avuto nel tempo diverse nomenclature. L'elenco seguente indica alcuni tra i sinonimi più frequenti:[2]
In alcune zone d'Italia gli steli sottili, resistenti e lisci della spiga sono usati per arrotolare la pasta nella preparazione di fileda/fileja od anche maccarruna, detti ancora nell'alto tirreno cosentino "fusilli" (analoga a quella che in altre zone viene chiamata pasta a ferretto o ferretti).[21]
Costituisce anche ottima materia prima per la carta.
Nelle zone di Cassaro e Ferla (sr) e a Ciminna (PA) in occasione del “Triunfu ra Marunnuzza” vengono legati insieme diversi steli e utilizzati a mo’ di fiaccola durante le processioni in diverse attività religiose.
La pianta è conosciuta con diversi nomi nei vari dialetti. Ad esempio in Campania è detta erba sparta, in Sicilia è chiamata liami (con significative varianti locali) e a Palermo disa, nel Cilento la pianta è detta cernicchiara, e sempre in Cilento, la corda ottenuta dalle foglie della pianta si chiama libbano, la cui origine ipotizzata è l'arabo o forse il greco.[22] In Toscana, la pianta è molto diffusa in Maremma ed è conosciuta con il nome di sarracchio (zona dell'Argentario)[23]. In alcune zone della Calabria (ad esempio nell'altopiano del Poro) è detta gutumara, ed il materiale da essa ottenuto è detto gùtimu (cfr. ciarasu-ciarasara per ciliegia-ciliegio), in altre (quelle con più alta influenza grecanica) la pianta è conosciuta come lisàra.[21] Nella riviera dei cedri è detta "cannoria" o "tunnara".[senza fonte]. In Liguria viene chiamata erba lisca, è molto diffusa sul Promontorio di Portofino e una volta veniva usata per fare cordame. Nel Lazio meridionale è conosciuta come stramma.
Nella primavera del 2004 a Canneto di Caronia (provincia di Messina) in un campo 4 km a sud dal caseggiato verso le montagne, le sole piante della specie Ampelodesmos mauritanicus presentavano la combustione integrale dell'apparato radicale. A parlarne è il direttore generale “MARIS - Monitoraggio Ambientale e Ricerca Innovativa Strategica” dott. Francesco Venerando Mantegna, all'epoca coordinatore del “Gruppo Istituzionale di lavoro per l’Osservazione dei Fenomeni di Canneto” ordinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per rispondere all'ondata di incendi di origine sconosciuta registrati in quella zona.
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(aiuto). URL consultato il 2 marzo 2019.Altri progetti
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