I fasmidi (PhasmatodeaJacobson & Bianchi, 1902), dal greco phasma "fantasma", sono un ordine di insetti Pterigoti, terrestri, di medie e grandi dimensioni, di forma allungata, allargata o depressa. Appartengono alla sottoclasse Euentomata, comprendente specie terrestri con abitudini notturne, di medie o grandi dimensioni, alati o meno. Vivono in ambienti umidi.[1]
Hanno capo fornito di occhi e spesso di ocelli (nelle forme alate), antenne moniliformi, filiformi, di varia lunghezza.
Hanno un apparato boccale masticatore con robuste mandibole. Le zampe sono gracili e indifferenziate, protorace più breve del meso e del metatorace. Nel protorace, presso l'inserzione delle zampe, sono presenti sbocchi ghiandolari che possono lanciare a distanza un secreto repellente.
Sono eterometaboli (piccoli simili agli adulti) ed ovipari e le loro uova, di dimensioni notevoli, talvolta con forme assai strane paragonabili a semi di piante, vengono abbandonate sul terreno o deposte tra le screpolature delle cortecce oppure vengono proiettate a distanza.
Spiccato dimorfismo sessuale. La riproduzione può essere anfigonica o partenogenetica, e non sono rari i casi in cui le due modalità avvengono contemporaneamente.
Comunemente detti insetti stecco, si mimetizzano facilmente con l'ambiente per il loro colore (omocromia) e per la loro forma (omomorfismo), imitando steli, rametti, fuscelli, foglie, ecc., e sono in grado a volte di cambiare colore sia lentamente sia improvvisamente. Generalmente si nutrono di vegetali che divorano voracemente.
La preparazione delle fasmidi per conservazione in scatole entomologiche richiede, per gli esemplari di grandi dimensioni, l'eviscerazione[2]. In questo modo, dopo l'essicazione la fasmide manterrà quasi inalterata la sua colorazione originaria.
Salemi Marco, Tomasinelli F., Le mantidi religiose e gli insetti stecco, De Vecchi Editore, 2006. ISBN 88-412-7648-7
Berg, E., Büschges, A. & Schmidt, J., (2013), Single perturbations cause sustained changes in searching behavior in stick insects. J. Exp. Biol., 216: 1064-1074. DOI:10.1242/jeb.076406.
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