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La chitra birmana (Chitra vandijki McCord & Pritchard, 2003) è una specie di tartaruga della famiglia dei Trionichidi[1].

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Chitra birmana
Stato di conservazione
Specie non valutata
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Reptilia
Ordine Testudines
Famiglia Trionychidae
Genere Chitra
Specie C. vandijki
Nomenclatura binomiale
Chitra vandijki
McCord & Pritchard, 2003

Descrizione


È una specie di grandi dimensioni con un carapace di lunghezza probabilmente superiore ai 1000 mm ed un peso totale oltre i 100 kg. Presenta carapace particolarmente scuro e coriaceo, con una livrea contraddistinta da striature ondulate marrone chiaro, giallo o ocra. Il piastrone è bianco-rosato e la coda è corta e tozza. Si distingue da C. indica per: la presenza di due coppie di ocelli localizzati posteriormente o tra gli occhi; l'assenza di una distinta banda mediana sul carapace; la presenza di una pezzatura nera sul mento; differenze scheletriche nel guscio e nelle coste; e la presenza di un terzo paio di strisce sul collo.


Distribuzione e habitat


Si tratta di un endemismo del Myanmar (= Birmania). È stata segnalata nei bacini idrografici dei fiumi Ayeyarwady e Chindwin. È probabile che sia presente anche nel bacino del Sittaung e in Thailandia. Popola i tratti planiziali del corso di fiumi di medio-grande portata, e si trova in sintopia con Amyda cartilaginea e Nilssonia formosa.


Biologia


Si conosce ben poco di quel che riguarda la riproduzione e la dieta in natura, ma è verosimile che l'ecologia in generale non si discosti troppo da quella di Chitra indica.


Conservazione


Le popolazioni sono ritenute in forte declino a causa dell'eccessivo prelievo e dell'alterazione dell'habitat. La pesca (trappole, reti, ami, veleni, esplosivi) è finalizzata all'alimentazione delle popolazioni rurali e, soprattutto, al commercio destinato al mercato cinese. Sono assolutamente necessari piani di gestione per la conservazione in situ ed ex situ.


Note


  1. Chitra vandijki, su The Reptile Database. URL consultato il 12 ottobre 2016.

Bibliografia



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